Nel 1620 venne pubblicata anonimamente a Londra la traduzione inglese del Decameron di Boccaccio, a cura di John Florio. Questo elegante volume in folio, stampato in due tomi e adornato con illustrazioni xilografiche di origine francese, fu realizzato dal tipografo Isaac Jaggard. Il dedicatario dell’opera era Sir Philip Herbert, conte di Montgomery, cui è indirizzata anche un’“epistola dedicatoria”, presumibilmente scritta dal traduttore, che introduce l’opera nella sua interezza e, specificamente, il testo tradotto all’inizio del primo volume.
Oltre a questa, vi è una seconda dedica del traduttore, inserita nella prefazione del secondo volume. Infine, vi è un indirizzo “al lettore” scritto dal tipografo stesso, probabilmente da Isaac Jaggard. Solo l’autore e il tipografo sono citati esplicitamente, ma in questo contesto il termine “autore” si riferisce chiaramente al traduttore, colui che consegnò al tipografo una “copia manoscritta e disordinata”.
Tuttavia, né il nome dell’autore né quello del traduttore compaiono nel testo. Vi è un ulteriore elemento: l’unico riferimento al fatto che l’opera sia una traduzione si trova nella seconda dedica, posta all’inizio del secondo volume, dove si afferma: “Insolito per l’epoca, il traduttore rifiutò di essere identificato.” 1
Nel 1953, Herbert G. Wright pubblicò The First English Translation of the Decameron (1620), il primo (e unico) studio dedicato all’analisi stilistica del traduttore anonimo del Decameron. Attraverso un confronto tra lo stile e le tecniche impiegate nel testo, Wright attribuì la mano creativa, ritmica e fiorita a John Florio, eminente anglo-italiano.
Secondo Wright, la ragione per cui un traduttore così eminente e profondo conoscitore della lingua italiana evitò di firmare un’opera tanto prestigiosa si trova nel desiderio di non essere associato a un libro considerato immorale:
“È importante sottolineare che i traduttori inglesi del Decameron a lungo si rifiutarono di dichiarare la propria identità; infatti, questa responsabilità fu assunta solo nel XIX secolo.”2
Allo stesso modo, la studiosa di Florio, Donatella Montini, ha evidenziato che Florio:
«Si era impegnato nella traduzione di un’opera ritenuta controversa e contenente materiale offensivo, e potrebbe essere stato prudente nel non rivendicarne la paternità.»3
Tuttavia, potrebbe esserci un’altra ragione per l’assenza di attribuzione. Secondo Guyda Armstrong:
«È possibile che il tipografo abbia ottenuto un manoscritto realizzato da Florio senza indicazioni di paternità, forse preparato in una data precedente; possiamo persino ipotizzare che ciò possa essere collegato al misterioso Decameron scomparso di John Wolfe del 1587.» 4
Il diritto di pubblicare un’edizione del Decameron era già stato concesso a John Wolfe nel 1587, ma solo il 22 marzo 1620 fu registrata presso lo Stationers’ Register l’autorizzazione alla pubblicazione di «Un libro chiamato il Decameron del maestro Giovanni Boccaccio, fiorentino».5
La traduzione inglese del Decameron di John Florio: fonti
Alcuni studiosi di Florio, come Michael Wyatt, concordano con Wright, il cui lavoro ha esercitato una tale autorevolezza da non essere mai stato messo in discussione. Oggi, infatti, John Florio è unanimemente riconosciuto come il traduttore in questione.
Il fatto che Florio portò il manoscritto del Decameron a John Wolfe nel 1587 dimostra che era già ben familiare con Boccaccio quando pubblicò Second Fruits nel 1591. Nel suo secondo lavoro, nel dodicesimo capitolo intitolato “On love and women”, Florio inserisce una citazione disinvolta che testimonia la sua familiarità con l’autore italiano:
And therfore Bocace saith wel:
to make thy horse to runne, and thy wife to stop,
Giue him the spurre, give her the holly crop 6
Nel mezzo secolo successivo al lavoro di Wright, ulteriori studi hanno fatto emergere dettagli che confermano la “firma” di Florio nel testo. La sua dedizione alla filosofia stoica, in particolare al concetto di “costanza” e alla virtù di “seguire la natura”, è spesso presente nelle sue opere. Wright dimostrò con meticolosità che Florio utilizzò ogni versione del Decameron disponibile per realizzare la sua traduzione. Non si accontentava mai di un’unica edizione, se ne poteva consultare tre. Il Decameron di Florio fu tradotto utilizzando da un lato la revisione del 1582 curata da Leonardo Salviati e un comitato di editori fiorentini sotto la sua supervisione, e dall’altro la traduzione francese di Antoine de Maçon per Margherita di Navarra. 7
La tecnica di censura di Florio
La principale differenza tra Florio e i suoi predecessori risiede nella tecnica di censura. Mentre altri traduttori eliminavano intere storie sostituendole con asterischi, Florio le censurava in modo più sottile, riscrivendole. Questo è particolarmente evidente in due novelle:
- La decima novella della terza giornata – la storia di Alibech e Rustico – fu sostituita con un racconto tratto dalle Histoires Tragiques di François de Belleforest, precisamente la novella numero 75: The wonderfull and chaste resolved continency of faire Serictha, daughter to Siwalde King of Denmark. In alcune righe, Florio tradusse il testo dal francese all’inglese senza alcuna modifica.
- La sesta novella della sesta giornata – la storia della famiglia Baronci – venne riscritta, nonostante non contenesse materiale osceno. Wright suggerì che Florio la eliminò perché la considerava obsoleta nel suo fascino, essendo incentrata su una famiglia nota nella Firenze del XIV secolo.
La traduzione inglese del Decameron di John Florio: Metodo
Wright sottolineò in particolare come Florio non esitasse a modificare le parole di Boccaccio per ottenere una versione più fiorita, bombastica e ritmica di un’idea. Grazie al suo amore per i doppi termini, le frasi ritmiche ed equilibrate, e alla sua preferenza per una traduzione meno letterale e più libera, Florio perseguiva uno stile personale. Non riusciva a concepire un modello di parole senza un corrispondente modello sonoro; perciò, quando Boccaccio concludeva i suoi racconti con una canzone, Florio non esitava a “tradurla” trasformandola in sonetti, arricchiti di musica, ritmo e un amore per l’allitterazione che non si ritrova nell’originale. 8
Florio viene definito un “lessicografo musicale” e la sua traduzione un “processo di ricreazione”:
“La sua straordinaria ricchezza linguistica e il suo orecchio sensibile si combinano in uno stile vivace e vigoroso quanto equilibrato e ritmico. La sua costante unità allitterativa rafforza la vivacità del linguaggio colloquiale ed esalta la dolce gravità dei momenti più elevati.” 9
Wright confronta le scelte stilistiche del traduttore reale e di quello presunto, concentrandosi sull’uso di allitterazioni, ripetizioni e rime. Secondo Montini:
“La rifinitura del Decameron di Boccaccio da parte di Florio è realizzata tramite dispositivi precisi e ripetuti: accumulando sinonimi di sostantivi, aggettivi e verbi; utilizzando frequentemente epiteti composti; mostrando il suo amore per l’allitterazione; spiegando ciò che non era esplicito; aggiungendo clausole con l’obiettivo di ampliare il significato del testo di partenza.” 10
Quando parla il “Florian English”, il Decameron di Boccaccio è reso con una strategia omogenea e pervasiva di aggiunte ed espansioni, simile a quanto Florio aveva già fatto nella sua traduzione inglese dei Saggi di Montaigne. Con John Florio, il Decameron di Boccaccio ha trovato una delle sue interpretazioni più brillanti.
Bibliografia
- Armstrong, Guyda. The English Boccaccio: A History in Books. Toronto: University of Toronto Press, 2013.
- Florio, John. Second Fruits. 1591.
- Iannaccone, Marianna. John Florio’s Italian & English Sonnets. Lulu Edition, 2021.
- Montini, Donatella. “John Florio and the Decameron: Notes on Style and Voice.” In Boccaccio and the European Literary Tradition, edited by Piero Boitani and Emilia Di Rocco. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 2014.
- Wyatt, Michael. The Italian Encounter with Tudor England: A Cultural Politics of Translation. Cambridge: Cambridge University Press, 2005.
- Wright, G. The First English Translation of the Decameron (1620). Uppsala/Cambridge Mass.: Harvard University Press, 1953.
Note:
- Montini, Donatella, John Florio and the Decameron: notes on style and Voice, in Boccaccio and the European literary tradition, a cura di Piero Boitani ed Emilia Di Rocco, (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2014).
- Wright, G., The First English Translation of the Decameron (1620), Uppsala/Cambridge, (Harvard University Press, 1953), p. 258.
- Montini, Donatella, John Florio and the Decameron: Notes on Style and Voice, p. 91.
- Armstrong, Guyda, The English Boccaccio: A History in Books, (Toronto: University of Toronto Press, 2013), p. 219.
- Montini, Donatella, John Florio and the Decameron: Notes on Style and Voice, 2014.
- John Florio, Second Fruits, 1591, Chapter 12.
- M. Wyatt, The Italian Encounter with Tudor England: A Cultural Politics of Translation, Cambridge, 2005, p. 221.
- Iannaccone, Marianna, John Florio’s Italian & English Sonnets, Lulu Edition, 2021.
- Wright, G., The First English Translation of The Decameron (1620), Uppsala/Cambridge Mass., (Harvard University Press, 1953).
- Montini, Donatella, John Florio and The Decameron: Notes on Style and Voice, 2014.