John Florio: Ritratto e Personalità

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Si prega di citare l’articolo come segue: Iannaccone, Marianna. “John Florio: ritratto e personalità”, Resolute John Florio, www.resolutejohnflorio.com/it/john-florio-ritratto, 2024.

John Florio: Ritratto di William Hole

Un ritratto di John Florio è presente nella seconda edizione ampliata del suo vocabolario italiano-inglese, Queen’s Anna New World of Words. Si tratta di un’incisione realizzata da William Hole, collocata nelle prime pagine del dizionario. Il ritratto raffigura Florio all’età di 58 anni, vestito con una livrea tipica di un servitore della camera privata: un abito nero in damasco o satin, rifinito con bordi in velluto e foderato in pelliccia di budge. L’aspetto solenne è completato da due dozzine di bottoni di seta e da quattro catene d’ufficio che attraversano il petto.

Accanto al ritratto, sulla destra, si trova il motto di Giordano Bruno, “Chi si contenta gode”, un’espressione paradossale se confrontata con l’ambizioso progetto appena portato a termine da Florio. Sopra l’immagine spicca un altro simbolo legato alla filosofia di Bruno: il sole con i raggi, utilizzato come sigillo abituale nelle armi araldiche di John Florio.

Il ritratto di John Florio, inciso da William Hole, presenta un volto caratterizzato da tratti marcati e vivaci: la carnagione olivastra, una barba leggermente appuntita, una bocca espressiva e rughe orizzontali che solcano nervosamente la fronte. Gli occhi, spalancati e penetranti, trasmettono un’espressione di intelligenza vigile, prudenza e dinamismo. Si percepisce, in tutto l’insieme, “una forza derivante dall’acume e dall’energia interiore, che sembrano costituire il tratto distintivo della sua personalità.” 1

John Florio: Ritratto perduto di Mytens

Un secondo ritratto di John Florio, attribuito a Daniel Mytens, era un tempo di proprietà della famiglia Dorset. Tuttavia, nessun dipinto di questo genere figura oggi nell’elenco delle opere pittoriche della collezione. La presenza di tale ritratto nella collezione Sackville è attestata nel libro di annotazioni di Charles Sackville, 6º conte di Dorset, conservato tra i Manoscritti Harleiani (N. 4636).

“Questo citato Michens, pittore di Re Giacomo, ha dipinto il ritratto di Florio che noi possediamo.”

Mentre nel suo articolo su John Florio nel Dictionary of National Biography, Sir Sidney Lee osservava che:

“Si dice che esista un ritratto di John Florio realizzato da Mytens a Knole Park.”

Il ritratto di John Florio non si trova più lì. È andato perduto, o forse è erroneamente attribuito a qualcun altro.

John Florio: Personalità

Leggende

La figura di John Florio è stata distorta nei secoli da diversi storici e critici, i quali hanno enfatizzato un presunto puritanesimo, basandosi principalmente sul tono parzialmente moralistico della sua prima opera, First Fruits (1578). Tuttavia, le ragioni di queste tonalità moralistiche sono state pienamente chiarite.

Nonostante ciò, tali elementi sono stati esagerati, contribuendo a delineare un’immagine irrealistica e fuorviante di Florio.

In realtà, la concezione di Florio di una vita e di un’educazione liberale riflette, in molti aspetti, quella dei grandi umanisti italiani del Rinascimento. Uno dei suoi educatori, Pier Paolo Vergerio, considerava l’uomo come un’armonia tra corpo e anima, una visione profondamente distante da quella puritana. I principi delineati in First Fruits hanno, infatti, una chiara impronta umanistica e derivano da autori classici, in particolare Plutarco. Questi elementi, impliciti piuttosto che espliciti nella sua opera giovanile, dimostrano un allineamento con la tradizione umanistica piuttosto che con il moralismo puritano.

L’evoluzione del pensiero di Florio è evidente già nel suo Second Fruits, dove il tono moralistico scompare, riflettendo un cambiamento di temperamento. Inoltre, Florio entrò in relazione con alcune delle menti più brillanti e anticonformiste del XVI secolo, come Giordano Bruno. È difficile immaginare che un filosofo dal pensiero ribelle e dall’odio manifesto per i pedanti, come emerge chiaramente dalle sue opere, avrebbe potuto instaurare un legame così stretto con Florio se questi avesse condiviso i rigidi principi puritani.

La reputazione di John Florio presso i suoi contemporanei, infatti, testimonia l’alta stima e l’affetto che suscitava. Era ammirato e rispettato da alcune delle figure più illustri del suo tempo, tra cui Giordano Bruno, Ben Jonson, Henry Wriothesley, Francis Walsingham, Robert Dudley, Lord Burghley, Philip Sidney e Edmund Spenser, solo per citarne alcuni. Questa rete di relazioni e la considerazione di cui godeva Florio sono difficilmente compatibili con la visione distorta tramandata da alcuni storici.

In definitiva, la descrizione fornita dai suoi contemporanei non solo contraddice le interpretazioni più critiche, ma rivela una personalità straordinaria, caratterizzata da un intelletto brillante e da un temperamento unico.

Realtà: John Florio il Risoluto

Frances Yates, biografa di John Florio, lo ha descritto come uno scrittore che cercava costantemente di suscitare uno “shock di gioiosa sorpresa”, riflesso della sua personalità eccentrica, leggermente comica e fortemente caratterizzata. Secondo la Yates, il fascino delle sue traduzioni risiede nella loro originalità e bizzarria, qualità che riflettevano il carattere insolito del traduttore stesso. Allo stesso modo, Arundel Del Re lo definì un “Don Chisciotte” italo-inglese, sottolineando la scelta del nome accademico Risoluto, che Florio adottò per rappresentare due tratti fondamentali del suo carattere: la risolutezza e la determinazione.

John Florio era, infatti, un uomo dal carattere forte e coerente, qualità rare tra i suoi contemporanei, accompagnate da una fiducia in sé stesso e da una profonda fede nel proprio giudizio, probabilmente ereditate dal padre, Michelangelo. Tali tratti contribuirono certamente a consolidare il legame di amicizia con Giordano Bruno, durante i due anni e mezzo vissuti insieme all’Ambasciata francese. Florio, sia come uomo che come scrittore, era spesso pomposo, sicuro di sé e pienamente consapevole del proprio valore. Tuttavia, il suo amore per i libri e la sua convinzione nella nobile funzione della letteratura erano profondamente sinceri e privi di secondi fini.

Come umanista, Florio condivideva la combattività tipica degli umanisti italiani del Rinascimento. Tale atteggiamento, tuttavia, non era apprezzato dagli elisabettiani intensamente nazionalisti della generazione successiva a quella di Philip Sidney, che guardavano con disprezzo agli inglesi italianizzati per ragioni patriottiche e religiose, includendo ingiustamente Florio in questa categoria. In un contesto così ostile, Florio tendeva a mettersi sulla difensiva, mostrando veemenza tanto nei suoi amori quanto nelle sue avversioni, che spesso lo portarono a dispute e conflitti.

La sua irrequietezza e la sua combattività erano tratti tipici degli umanisti italiani, accompagnati da un vigoroso dinamismo fisico e mentale che gli permise di affrontare con successo imprese intellettuali straordinarie. Per queste ragioni, Florio deve essere considerato uno degli studiosi più eruditi e prolifici del Rinascimento e il più autentico rappresentante dell’umanesimo nell’età elisabettiana.

John Florio visto dai contemporanei: i suoi amici

John Donne

John Donne descrisse John Florio come un uomo vanitoso ed eccentrico. Nella sua Courtier’s Library, Donne mette in evidenza l’estrema raffinatezza di Florio nel parlare, caratterizzata dall’uso di termini che Florio trovava piacevoli, ma che spesso risultavano rari e complicati. Donne osserva inoltre un tratto comico nella personalità di Florio, un elemento peculiare e marcato che si manifestava soprattutto attraverso una certa eccentricità linguistica, talvolta eccessiva.

In questo contesto, John Donne parodiò Florio attribuendogli un titolo immaginario, prolisso e volutamente esagerato (qui tradotto dal latino):

L’Oceano della Corte, o La Piramide, o il Colosso, o il Baratro senza fondo degli Ingegni: in cui … qualsiasi argomento, persino il più banale, come gli stuzzicadenti o i ritagli delle unghie, è proposto, raccolto e organizzato in un corpus, e dedicato ai rispettivi autori da John Florio … con poesie in lode dell’Autore nei Libri I-XCVII, che seguono.

Sotto la pomposità dello stile di John Florio, gran parte del suo lavoro si concentra sull’arte delle dediche e delle congratulazioni, dove il linguaggio abbonda di favori e sentimenti elaborati. Tra i suoi contemporanei, John Donne fu uno dei più acuti nel percepire il lato comico della sua personalità eccentrica e, talvolta, snob. L’intimità di Donne con la Contessa di Bedford gli offrì, con ogni probabilità, occasioni privilegiate per osservare da vicino le stravaganze di questo “Anglo-Italiano”. 2

John Florio: dispensatore di sonetti licenziosi


William Vaughan, nel suo The Golden Fleece, ci fornisce un ritratto controverso di John Florio, sottolineandone la capacità di ricorrere a un linguaggio licenzioso e volgare. In particolare, Vaughan menziona un episodio in cui Florio viene descritto come un dispensatore di versi scurrili durante una celebrazione di compleanno reale. Questo evento, avvenuto dopo il 1603, si colloca in un periodo in cui Florio, ormai una figura celebre e influente a corte, poteva permettersi comportamenti che avrebbero potuto risultare inappropriati per altri. La sua posizione privilegiata gli garantiva infatti una certa libertà, anche nell’uso di un linguaggio audace e provocatorio, senza timore di ripercussioni significative.

John Florio nel Menaphon di Robert Greene

William Vaughan, nel suo Spirit of Detraction, offrì un ritratto di John Florio molto diverso rispetto a quello fornito dai suoi detrattori, descrivendolo come uno studioso ingenuo ma onesto, e difendendolo dalle accuse mosse da Thomas Nashe e Robert Greene. Nashe, infatti, nel prologo al Menaphon di Greene (1589), lancia un attacco contro un non meglio identificato “idiota maestro d’arte”, accusandolo di “affidare l’eternità alla bocca di un attore”. Questa figura, secondo Nashe, non scriverebbe nemmeno ciò che viene recitato, poiché attingerebbe interamente da altri autori. Per rafforzare la sua accusa, Nashe cita il famoso adagio latino “Nihil dictum quod non dictum prius” (“Nulla viene detto che non sia già stato detto prima”), insinuando che questo presunto maestro non sia altro che un plagiario, privo di originalità.

L’identità di questo “idiota maestro d’arte” rimane ambigua, ma l’associazione con Florio, pur non esplicita, si inserisce in un clima di critiche generalizzate che alcuni intellettuali dell’epoca rivolgevano a figure come lui, impegnate nella diffusione e nell’adattamento culturale. La difesa di Vaughan, dunque, appare come un tentativo di riabilitare Florio, sottolineandone il valore accademico e la dignità intellettuale in un contesto di detrattori aggressivi e polemiche letterarie.

“In realtà, devo dire che nei secoli successivi alla grande Atene dei filosofi, l’Inghilterra non ha prodotto oratori capaci di una vera e propria eloquenza originale, in grado di sviluppare una propria vena stilistica distintiva. Gli scrittori inglesi, infatti, devono attingere dalle invenzioni di autori come Ariosto e altri suoi connazionali, prendere in prestito parole dalle traduzioni delle opere di Cicerone, e rielaborare concetti tratti dai depositi degli storici latini. Molte delle somiglianze con questi autori sono così evidenti da includere interi passaggi e trattati copiati parola per parola da fonti come Plutarco e Plinio. Inoltre, l’intero metodo di scrittura che caratterizza i nostri autori contemporanei deriva dalla libertà creativa delle finzioni comiche, che a loro volta si sono sviluppate grazie a un’imitazione secondaria dei retori classici. In questo contesto, l’adagio ‘Nil dictum quod non dictum prius’ (Nulla può essere detto che non sia già stato detto prima) appare come la valutazione più ragionevole da attribuire agli scrittori più recenti.”

Thomas Nashe, Menaphon, 1589

John Florio, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, è l'”idiota” attaccato da Thomas Nashe nel Menaphon. Alcuni sostenitori di Florio si prodigarono per difenderlo dalle accuse di Nashe. Sir William Vaughan, infatti, si schierò apertamente a favore di Florio, dimostrando che quest’ultimo e l’“idiota maestro d’arte” descritto da Nashe fossero la stessa persona. Nel suo Spirit of Detraction (1611),

Vaughan risponde alle critiche mosse contro Florio. In particolare, difende l’idea che Florio fosse uno “studioso ingenuo”, accusato di non scrivere opere originali, ma di limitarsi a copiare da altri autori, come Nashe aveva sostenuto riguardo all’idiota maestro d’arte nel Menaphon. Vaughan, infatti, sostiene che Florio fosse ingiustamente accusato di essere un “barile vuoto”, incapace di produrre idee proprie, e di non fare altro che “dire ciò che era già stato detto”.

Questa difesa di Vaughan cerca di contrastare l’accusa di plagiato che pesava su Florio, mettendo in luce, forse, il contesto in cui quest’ultimo operava: un ambiente culturale in cui la traduzione, l’adattamento e l’imitazione di opere classiche erano pratiche comuni, se non addirittura considerate parte integrante del processo creativo:

“Non viene alcun danno dal silenzio, ma parlare porta danno: questi mormoratori dipingono l’immagine di lui come un pavido, un malinconico mutista o un semplice sciocco. Lasciate che uno studioso ingenuo, temprato dall’esperienza, arricchito dalla dottrina cristiana, con il cuore sigillato dallo zelo e dalla carità, lasci che apra la botte del suo ingegno, che Dio gli ha dato; essi gridano che il suo cervello è solo una botte vuota, il suo ingegno sterile, la sua materia presa in prestito dai libri degli altri. Su quest’ultima accusa, sebbene confessi che questo antico adagio si applica a loro: nihil dictum, quod non est dictum prius (nulla può essere detto, se non ciò che è già stato detto prima).” – Vaughan, William, Spirit of Detraction, p. 110.

Vaughan chiarisce di riferirsi all’accusa di Nashe nel Menaphon di Greene quando cita le parole di Nashe: “Nihil dictum quod non dictum prius”. In questo modo, Vaughan rende evidente che si sta riferendo a Thomas Nashe e a ciò che aveva scritto sull’“idiota maestro d’arte”.

Frances Yates, nel suo libro Love’s Labour’s Lost, conferma che William Vaughan, nel Spirit of Detraction, si riferisce a John Florio quando utilizza il termine “ingenuous scholler” (studioso ingenuo). Sottolinea anche che Vaughan usò queste parole per descrivere John Florio perché, a volte, lui stesso chiamava l’amico Florio “ingenuous scholler”. In conclusione, lo “ingenuous scholler” citato da William Vaughan nel Spirit of Detraction e l’idiota maestro d’arte citato da Thomas Nashe nel Menaphon di Greene sono la stessa persona: John Florio.

La difesa di Gabriel Harvey di John Florio contro Robert Greene

William Vaughan difese John Florio dagli attacchi di Thomas Nashe contenuti nel Menaphon di Greene. Tuttavia, Vaughan non fu l’unico a difendere Florio dagli attacchi dei suoi nemici. Come spiegato in diverse pagine di questo sito, John Florio fu oggetto di numerosi attacchi durante la sua carriera. Questo era principalmente dovuto alle sue origini straniere. L’intensa ostilità verso gli stranieri rappresentava un pericolo reale durante il periodo elisabettiano. Infatti, in Second Fruits, John Florio menzionò come i suoi nemici avessero una “coltella a comando per tagliargli la gola” perché “Un Inglese Italianato è un Diavolo Incarnato”. Inoltre, Florio era, tra tutti gli stranieri, lo scrittore più importante e famoso. Ottenne un reddito sicuro, era apprezzato e lodato dai migliori patroni e occupava una posizione di prestigio alla corte. Gabriel Harvey, amico di John Florio che lo lodò più volte e possedeva una copia del suo Firste Fruites, difese esplicitamente Florio definendolo con coraggio “italianato” dagli attacchi di Thomas Nashe, Robert Greene e dei suoi nemici:

“Greene, vile Greene, fossi tu almeno onesto come il peggiore dei quattro che tu biasimi, o almeno istruito quanto il meno istruito dei tre! Ringrazia gli altri per le tue piume rubate e prese in prestito da una certa italianità, e cosa resta se non la pura impudenza e la grossolana diffamazione, gli ornamenti propri della tua dolce espressione.”

William Cornwallis

Nei suoi Essays del 1600, Sir William Cornwallis il Giovane fu il primo in Inghilterra a richiamare l’attenzione sui meriti di Montaigne. Allievo di Florio, Cornwallis descrisse anche il traduttore, John Florio:

“Montaigne ora parla un buon inglese. È stato fatto da un uomo meno debitore alla natura per la sua fortuna che per la sua intelligenza, e ancor meno per il suo aspetto che per la sua fortuna. La verità è che sembra più un buon compagno che un uomo saggio, eppure è più saggio di quanto suggeriscano la sua fortuna o la sua educazione.”

Dal ritratto di John Florio realizzato da William Hole non emerge nulla che possa giustificare il commento di Cornwallis. Probabilmente, la nota negativa sul viso di Florio può essere attribuita alla sua pelle scura o ai tratti facciali mediterranei, che non erano percepiti, nel periodo elisabettiano, come standard di bellezza.

Ben Jonson: John Florio, l’Aiuto delle sue Muse

Samuel Daniel, amico di lunga data di John Florio, si riferiva a lui come al suo “fratello”. Ben Jonson disse che Florio era apprezzato negli ambienti più esclusivi. In questo contesto, è importante sottolineare che Ben Jonson era davvero orgoglioso di vantarsi del fatto che, a differenza dei lunghi tempi di preparazione che solitamente impiegava per le sue opere, il suo Volpone (1607) fosse stato preparato in sole cinque settimane. Vale la pena considerare che uno dei suoi preziosi collaboratori nella preparazione di questa famosa commedia di Jonson fu proprio John Florio. È anche significativo che Ben Jonson, nella sua dedica a una copia di Volpone indirizzata a John Florio, scrisse:

“Al suo affettuoso padre e degno amico, Maestro John Florio, l’aiuto delle sue Muse. Ben Jonson sigilla questa testimonianza di amicizia e amore.”

Questa è una testimonianza molto importante a favore di John Florio come autore fantasma o, perlomeno, come collaboratore. La dedica di Ben Jonson non è mai stata pienamente apprezzata e il ruolo di Florio è stato solo parzialmente valutato, limitandolo spesso al semplice fornitore di informazioni sul folklore italiano. Le opere di Florio, le sue due enciclopedie e la sua opera d’arte, gli Essays di Montaigne, sono la prova che egli fosse ben più capace del semplice insegnante come alcuni storici hanno cercato di dipingerlo nel corso dei secoli, talvolta non solo sminuendo il suo lavoro, ma relegandolo anche all’oscurità.

Con quella dedica, Ben Jonson dimostrò che riuscì ad accelerare la composizione del suo Volpone e a concluderlo in cinque settimane anche grazie alla collaborazione di John Florio. Se John Florio è stato l'”aiuto” della musa di Jonson, può essere stato l’aiuto di molte altre muse. Questo aspetto importante della carriera letteraria di Florio, costellata di preziose collaborazioni, non è stato ancora pienamente riconosciuto né adeguatamente studiato.

John Florio dai suoi contemporanei: i suoi nemici

John Eliot

John Eliot attaccò violentemente John Florio nel suo Ortho-epia Gallica (1593). Secondo Frances Yates, questa pubblicazione scosse profondamente il mondo dell’insegnamento moderno. John Florio fu ovviamente la principale vittima della satira di Eliot, essendo il più famoso e importante tra gli insegnanti di lingue. Questo attacco fu in gran parte dovuto alla paura che i rifugiati protestanti stranieri sottraessero opportunità lavorative agli inglesi in molti mestieri qualificati e professioni:

“Il risentimento contro gli stranieri era molto alto nell’anno 1593 e le autorità si aspettavano di dover affrontare rivolte anti-straniere e un ‘May day’ violento [..]. I Second Fruits di Florio, con il loro revival di ricordi legati alla rudezza di Bruno nella Cena de le Ceneri, non erano certo in grado di placare il crescente sentimento di ostilità contro gli insegnanti stranieri, e non sorprende trovare che gran parte della satira di Eliot sia diretta contro Florio.”
— Yates, F. A., John Florio, The Life of an Italian in Shakespeare’s England, p. 147.

Florio rispose alle critiche di John Eliot nel suo A Worlde of Words del 1598, richiamando quell’attacco come un “vecchio pericolo”:

“Ma prima di raccontarti, gentile lettore, lo scopo del mio nuovo viaggio, permettimi di indulgere un poco e di ristorarti con il racconto di un mio antico pericolo. Poiché, trattandosi in qualche misura di un pericolo comune, la sua rivelazione potrebbe giovare ad altri tanto quanto rallegrare me stesso. E qui potrei iniziare con quei famigerati pirati di questo mare di carta, quei cani di mare o critici di terra, mostri di uomini, se non addirittura bestie piuttosto che uomini; i cui denti sono cannibaleschi, le cui lingue sono biforcute come quelle di un serpente, le cui labbra avvelenano come aspidi, i cui occhi sono basilischi, il cui respiro è quello di una tomba…”

John Eliot: Florio, l’arrampicatore sociale

Critico di terra: il riferimento fatto da John Florio è al Ortho-epia Gallica di John Eliot e al suo ruolo di critico e giornalista. Florio fu visto da Eliot come un “usurpatore”, un pericoloso arrampicatore sociale, poiché gli stranieri evidentemente ottenevano più successo degli inglesi nell’insegnamento delle lingue straniere. All’epoca, c’era un’accesa controversia contro gli insegnanti stranieri in Inghilterra, di cui Florio era l’emblema, e tutte le attività collaterali di Florio suscitavano rabbia e invidia: l’attacco di Eliot contro di lui nel Ortho-epia Gallica ne è un esempio. I nemici di Florio, infatti, non tolleravano che uno straniero potesse avere un successo che, secondo loro, doveva essere riservato solo agli inglesi. Questa aperta ostilità nei confronti di John Florio come straniero potrebbe spiegare la sua prudenza nel pubblicare opere che avrebbero potuto dargli una cattiva pubblicità. Spiega anche perché più tardi nella sua vita, nonostante una prestigiosa posizione a corte, pubblicò in forma anonima il Decameron di Boccaccio. La sua prudenza nelle attività letterarie a corte, menzionata da Vaughan, e i diversi modi con cui firmò i suoi lavori durante la sua carriera (alcuni esempi: N.W. nel libro di Daniel, J.H. nella traduzione di John Haley, I.F. nella sua traduzione del 1591 di Perpetuall and naturall prognostications of the change of weather, ecc.) sono la prova che gli attacchi dei suoi nemici, come Eliot, Nashe e Greene, ebbero conseguenze sulle sue attività letterarie. Tuttavia, il suo atteggiamento risoluto, definito da Gabriel Harvey “coraggio italiano”, non lo fermò dallo scrivere e pubblicare le sue opere, nonostante le molte difficoltà e i pericoli incontrati nel corso della sua carriera.

Robert Greene

Dai commenti dei contemporanei di John Florio e, in particolare, dalle sue Epistole al Lettore, emerge chiaramente che Florio fu attaccato anche da Robert Greene, uno dei principali autori polemici dell’epoca. Un interessante riferimento a Greene si trova nel Phaeton to his friend Florio, uno dei primi sonetti elisabettiani, pubblicato nei Second Fruits nel 1591:

Sweet friend, whose name agrees with thy increase
How fit a rival art thou of the spring!
For when each branch hath left his flourishing,
And green-locked summer’s shady pleasures cease,
She makes the winter’s storms repose in peace
And spends her franchise on each living thing:
The daisies spout, the little birds do sing,
Herbs, gums, and plants do vaunt of their release.
So when that all our English wits lay dead
(Except the laurel that is evergreen)
Thou with thy fruits our barrenness o’erspread
And set thy flowery pleasance to be seen.
Such fruits, such flowerets of morality
Were ne’er before brought out of Italy.

Nei Second Fruits, Florio fa riferimento a un “mole-hill” (un cumulo di cose insignificanti) che aveva pubblicato i suoi “abiti da lutto”, titolo che corrisponde a un’opera di Robert Greene, Mourning Garment, del 1590.

Di conseguenza, Robert Greene, come Hugh Sanford, Thomas Nashe ed Eliot, non apprezzava Florio per diversi motivi:

  • John Florio non era laureato.
  • Nel 1590, Florio curò la pubblicazione dell’Arcadia di Sidney, uno dei poeti più acclamati dell’epoca elisabettiana.
  • Florio si oppose duramente a John Eliot, fervente sostenitore di Greene.
  • Florio era uno straniero di successo.
  • Soprattutto, perché Florio aveva definito le opere di Greene dei semplici “mole-hill” nei suoi Second Fruits.

Thomas Nashe

Nell’introduzione dei Second Fruits, Florio attacca duramente Robert Greene, evidenziando come tra loro non ci fosse alcuna amicizia, così come non vi era con Thomas Nashe. Florio stesso sottolinea di non appartenere al loro circolo letterario, affermando: “Io non sono della loro fazione”.

Nel A World of Words (1598), Florio scrive invece di avere una “grande fazione di buoni scrittori che combattono al mio fianco”. Questa fazione, però, non include Thomas Nashe, John Eliot o Robert Greene, che non facevano parte del suo stesso circolo letterario. I “buoni scrittori che combattono con me” citati da Florio erano personalità come Gabriel Harvey, William Vaughan, Samuel Daniel e Ben Jonson.

John Florio contro Thomas Nashe: Querelle Letteraria

Il biografo di John Florio, Arundel Del Re, ha suggerito che tra Florio e Thomas Nashe vi fosse una querelle letteraria che si riflette in tutto ciò che i due uomini pubblicarono durante le loro carriere. Tuttavia, questa ostilità non è mai stata pienamente riconosciuta o approfondita. Nei Second Fruits, Florio attacca apertamente Nashe e Greene, dichiarando esplicitamente di non appartenere al loro circolo letterario. Il deterioramento dei rapporti tra Florio e Nashe potrebbe essere avvenuto quando Florio divenne tutore di Henry Wriothesley, un mecenate conteso dagli autori dell’epoca.

Come evidenziato da Frances Yates e da William Vaughan nel Spirit of Detraction, Nashe si riferisce a Florio nel Menaphon (1589), descrivendolo come un “idiot Art Master” che ruba idee da altri scrittori per trasferirle a un attore: “repose eternity in the mouth of a player”. Nashe critica anche la velocità con cui Florio produceva le sue opere, insinuando che derivasse dal plagio. Florio risponde nei Second Fruits con sarcasmo e controattacchi, alludendo agli scritti e allo stile di Nashe.

Ecco alcuni esempi tratti da questo scambio polemico:

  • Thomas Nashe:“Non posso affidarli completamente alla follia come fanno i loro idioti maestri d’arte, che si impongono ai nostri orecchi come alchimisti dell’eloquenza, i quali (montati sul palco dell’arroganza) pensano di superare penne migliori con l’enfatico bombastico del loro spavaldo verso sciolto.” (Menaphon)
  • John Florio risponde nei Second Fruits:“Alcuni, come alchimisti che distillano quintessenze di ingegno, fondono oro nel nulla, eppure vogliono fare oro dal nulla.” (Second Fruits)
  • Thomas Nashe scrive:“Lasciate che altri (se vogliono) lodino la montagna che in sette anni genera un topo, o la penna italianizzata che, da un pacchetto di furti, offre alla stampa uno o due opuscoli in un’era, e poi, in abiti mascherati, si vanta delle piume di Ovidio e Plutarco come fossero proprie.” (Menaphon)
  • John Florio risponde:“Alcuni, con l’Amadysing e il Martinising di una moltitudine dei nostri giovani libertini con triviali, frivole e vane futilità, mettono molte menti in subbuglio; potrebbe uno sciocco con una piuma divertire di più gli uomini?” (Second Fruits)
  • Thomas Nashe:“Datemi l’uomo il cui talento estemporaneo in qualsiasi umore supererà i pensieri deliberati dei nostri più grandi maestri d’arte, le cui invenzioni, più veloci del suo sguardo, sfideranno il più orgoglioso retore alla contesa della stessa perfezione con la stessa velocità.” (Menaphon)
  • John Florio:“Se realizzo più di ciò che prometto, lo attribuirò al terreno fertile in cui sono piantati i miei sforzi, la cui sovrana virtù, divisa con semi così insignificanti, ha trasformato i miei germogli trascurati in semplici medicinali.” (Second Fruits)
  • Thomas Nashe:“Non fu forse il lavoro di dodici anni di Marone a rendere così celebri i suoi dodici Eneidi? O i sedici anni di fatica di Pierre Ramus a lodare la sua piccola logica?” (Menaphon)
  • John Florio:“Non è forse il numero dodici meraviglioso? […] Molti seminano grano e raccolgono cardi; spendono tre anni di fatica per coltivare un terreno sterile e non ottengono altro che il loro lavoro.” (Second Fruits)
  • Thomas Nashe:“Per lasciare tutti questi alla mercé della loro lingua madre, che si nutrono solo delle briciole che cadono dal vassoio del traduttore, giungo (dolce amico) al tuo Arcadian Menaphon, il cui stile (anche se non così sfarzoso, ma aggraziato) ti intitola sopra tutti gli altri a quel temperatum dicendi genus che Cicerone nel suo Orator definisce vera eloquenza.” (Menaphon)
  • John Florio:“La ragione è che lasciano le valli basse per cercare la fortuna nelle regioni collinari; e scavano per l’oro sulla cima delle Alpi, mentre il gallo di Esopo trovò una perla in un luogo più basso.” (Second Fruits)

In questi estratti, emerge un confronto polemico che riflette profonde divergenze culturali e personali, alimentate dal contesto competitivo dell’Inghilterra elisabettiana. La querelle tra Nashe e Florio, dunque, non fu solo una disputa personale ma anche un riflesso delle tensioni letterarie e sociali del periodo.

La querelle tra John Florio e Thomas Nashe: l’Idiot Art Master

Thomas Nashe si mostra particolarmente critico nei confronti di questo “idiot Art Master” (un chiaro riferimento a John Florio, che fu maestro d’arte al Magdalen College di Oxford). Nashe contrappone Florio a “l’uomo (Robert Greene) il cui talento estemporaneo in qualsiasi umore supererà i pensieri deliberati dei nostri più grandi maestri d’arte”, criticando invece Florio come “l’uomo le cui invenzioni, più veloci del suo sguardo, sfideranno il più orgoglioso retore alla contesa della stessa perfezione con la stessa velocità”.

Nashe sottolinea quindi una fondamentale differenza di approccio. Mentre Florio è lodato (o criticato) per la sua rapidità nel produrre opere – con “invenzioni” che sono “quicker than his eye” (più veloci del suo stesso sguardo) – Nashe privilegia un processo più lento e riflessivo. Per Nashe, il tempo impiegato nella creazione artistica è una componente essenziale, come esplicitato nel passaggio in cui scrive:

“Was it not Maro’s twelve years’ toil that so famed his twelve Aeneidos?”

Per Nashe, dunque, è il tempo dedicato alla produzione artistica a determinare il valore di un’opera. Non sorprende quindi che egli apprezzi “il lavoro di dodici anni che rese celebri le Aeneidos di Virgilio” e non l’arte “estemporanea” di qualcuno la cui “invenzione è più veloce del suo sguardo”. Tale velocità è vista con sospetto, quasi fosse un indicatore di plagio. In questo contesto, il disprezzo di Nashe per la “penna italianizzata” (John Florio) e il suo “pacchetto di furti” appare evidente.

John Florio non rimane indifferente a queste critiche e risponde nei suoi Second Fruits con una controargomentazione ironica. Alla lode del “tempo” tanto caro a Nashe, egli replica:
“Is not the number of twelve wonderful?”

Florio prosegue:
“Manie sowe come, and reape thistles; bestow three yeare’s toyle in manuring a barraine plot, and have nothing for their labor but their travail.”

Florio ribalta così la prospettiva di Nashe, sostenendo che non è il tempo (dodici settimane, mesi o anni) a garantire la qualità dell’arte, ma piuttosto le idee. Per Florio, infatti, un “terreno sterile” resterà tale, anche se coltivato con grande impegno per anni, producendo solo fatica e nulla di più. Questo confronto evidenzia la profonda divergenza tra i due autori riguardo alla concezione della creazione artistica: da un lato, il valore della lentezza e della riflessione; dall’altro, l’importanza della fecondità e dell’immediatezza.

Alcuni studiosi di Florio, tra cui Arundel Del Re e Frances Yates, hanno messo in evidenza i numerosi riferimenti a Florio presenti nelle opere di Nashe, Vaughan e Greene. Tali allusioni fanno di Florio il bersaglio privilegiato dei loro attacchi. Tuttavia, Florio non rimase in silenzio: rispose puntualmente a ciascuno degli attacchi di Nashe, Greene ed Eliot, il che conferma il ruolo centrale che ricoprì nelle polemiche letterarie dell’epoca.

Un aspetto interessante da considerare, in questo contesto, è il riferimento di Nashe a Florio come lo scrittore che avrebbe “reposed eternity in the mouth of a player”. Sarebbe cruciale approfondire chi fosse l’attore a cui Nashe allude, per comprendere appieno il significato di questa critica.

John Florio nel “Terrors of the Night” di Thomas Nashe

Non vi è dubbio che Thomas Nashe abbia letto quanto John Florio aveva scritto su di lui nei Second Fruits e che abbia almeno sfogliato il primo dialogo, in cui si racconta della caccia di John nell’armadio con Giordano Bruno, prima di scartarlo con disprezzo. Qualche anno dopo la pubblicazione dei Second Fruits, infatti, Nashe ritorna sulla questione nel suo Terrors of the Night (1594), riflettendo amaramente sulla sua condizione di scrittore privo di un patrono:

“In un calamaio di piombo pesco tutto il giorno, ma non ho la fortuna di San Pietro di portare all’amo un pesce con l’argento in bocca.”

Il riferimento sembra chiaramente indirizzato a John Florio, che nel 1594 godeva ancora del solido patrocinio di Henry Wriothesley, Conte di Southampton. Nashe si rivolge ai giovani nobili, invitandoli a discernere quali scrittori meritino davvero il loro sostegno, ma senza mantenere l’apparente promessa di lodare sé stesso:

“Ce ne sono alcuni che portano l’argento in bocca, ma non nelle mani; vale a dire, sono molto generosi e onorevoli nelle parole, ma (tranne che per giurare, in verità) nessuna buona azione viene da loro.”

Nashe prosegue tracciando una caricatura inequivocabile di John Florio e del suo recente libro, Second Fruits. Questa caricatura dimostra che Nashe deve aver letto almeno il primo dialogo di Florio, in cui Nolano (Giordano Bruno) prende bonariamente in giro l’amico Florio per il tempo eccessivo speso a scegliere il vestito giusto nel suo armadio. Nashe scrive:

“Sono luridi adulatori italianizzati, che vorrebbero essere considerati i ‘Gloriosi’ della Corte e raffinati giudici di spirito; ma se si esaminassero bene i loro guardaroba e le vesciche appassite dei loro cervelli, non si troverebbe altro che pochi abiti da braghetta tarlati, fatti in vista dell’arrivo di ‘Mounsier’ (Monsieur), nel primo, e pochi frammenti di proverbi stranieri, nel secondo. E solo questi bastano a proteggerli dal nome di mendicanti e idioti.”

Thomas Nashe richiama anche l’abitudine di Florio di citare Torquato Tasso:

“Altrimenti, forse, possono fare un gran chiasso con lo spirito di Tasso, e poi incrociano le braccia come spacconi, contorcono il collo alla napoletana e rivoltano gli occhi come uomini in trance.”

Questa descrizione corrisponde chiaramente a John Florio, con i suoi seimila eleganti proverbi e i suoi bauli pieni di abiti alla moda. Da questo attacco emerge con chiarezza che la causa dell’amarezza di Thomas Nashe riguarda il patrocinio che Henry Wriothesley rifiutò di concedere a lui, preferendo invece John Florio.

Hugh Sanford

In A World of Wordes, John Florio tornò su quella che definì una “vecchia minaccia”, ossia gli attacchi dei critici, rivelando di aver rintracciato l’uomo che aveva coniato un volgare soprannome latino basato sulla sua abituale firma, “Resolute I. F.”. Questo individuo era Hugh Sanford. Florio accusa poi il suo familiare avversario Thomas Nashe di aver utilizzato quel soprannome in stampa e, citando il poeta romano Marziale, punta il dito contro coloro che aggiungono commenti offensivi ai libri altrui.

John Florio identifica H. S. (il rivale tutor Hugh Sanford) come l’autore dell’insulto:

“Questo individuo, questo H. S., leggendo (perché voglio che sappiate che è sia un lettore sia uno scrittore) sotto la mia ultima epistola al lettore I. F., ha reso familiare la F. come se fossi stato suo fratello. Ora, recte sit oculis magister tuis, disse un antico scrittore a un pedante grammatico molto simile: Dio salvi la sua vista, signore, o almeno il suo discernimento.”

Scopriamo così che Hugh Sanford aveva trasformato la firma di John Florio, “Resolute I. F.”, in un’offensiva espressione latina. Florio, tuttavia, decide di rispondere con la stessa moneta: inventa a sua volta volgari soprannomi latini basati sulle iniziali del rivale, dimostrando di poter fare lo stesso gioco anche in altre lingue.

“E non potrebbe forse un uomo che sa fare quanto te (ossia leggere) trovare altrettante allusioni in H. S. quante tu ne hai trovate in I. F.? Per esempio, H. S.: perché non potrebbe significare Haeres Stultitiae [Erede della Stupidità], così come Homo Simplex [Uomo Semplice]? O anche Hara Suillina [Porcile di Scrofe], come Hostis Studiosorum [Nemico degli Studiosi]? O ancora Hircus Satiricus [Caprone Satirico], come ognuna delle precedenti? E questo in latino, oltre a Hedera Seguace [Edera Seguita], Harpia Subata [Arpia Soggiogata], Humore Superbo [Umore Superbo], Hipocrito Simulatore [Ipocrita Simulatore] in italiano. E in inglese senza fine: Huffe Snuffe [Sbruffone Irritabile], Horse Stealer [Ladro di Cavalli], Hob Sowter[Ciabattino Rozzo], Hugh Sot [Hugh Ubriacone], Humphrey Swineshead [Humphrey Testa di Maiale], Hodge Sowgelder [Hodge Castratore di Maiali]. Ora, signor H. S., se questo ti ferisce, smetti di scalciare in futuro, e nel frattempo puoi farti un impiastro con il tuo maggiorana secca.”

Florio non si limita alla satira, ma riflette anche sul perché si sia sentito obbligato a rispondere, nonostante la sua indole apparentemente pacifica. Dopo aver deriso la mancanza di arguzia di H. S., scrive:

“Se H. S. non mi avesse provocato così inutilmente e scioccamente, non avrei potuto essere indotto, contro la mia natura e il mio modo di fare, a rispondergli così; anche se forse in futuro lo disprezzerò piuttosto che continuare a perseguitarlo. È colpevole (dice Marziale, e in seguito lo marchia con un nome di furfante) chi cerca di essere spiritoso nel libro di un altro.”

Queste dispute letterarie con Hugh Sanford, Thomas Nashe, Robert Greene ed Eliot dimostrano che John Florio fu frequentemente bersaglio di attacchi durante la sua carriera. Tuttavia, esse evidenziano anche come il suo talento, le sue opere e la sua abilità nel collaborare con uomini illustri dell’epoca lo abbiano reso un personaggio di spicco ma, al contempo, vulnerabile a critiche e rivalità. Nonostante i pericoli e le minacce dei suoi avversari, Florio continuò a scrivere con determinazione, mantenendo il suo spirito combattivo. Anche nei momenti più difficili, rimase il Risoluto John Florio.

Bibliografia

Vaughan, W. Spirit of Detraction. University of Oxford, Text Archive, TCP: The Third Cicle of the Spirit of Detraction, Lineament X.

Yates, F. A. (1932). John Florio: The Life of an Italian in Shakespeare’s England. Cambridge University Press.

Note

  1. Yates, F. A., John Florio, The Life of an Italian in Shakespeare’s England, Cambridge University Press, 1932, p. 276
  2. Yates, F. A., John Florio, cit., p. 225
About The Author

Marianna Iannaccone

Phd student at the University of Insubria, Como (Italy)

I have dedicated over a decade to the study of John Florio’s life and works, contributing to the scholarly understanding of his significant role as a prominent interpreter of Italian humanistic culture in Renaissance England. Through research publications, interviews, and conference presentations, I have sought to elevate awareness of Florio’s intellectual contributions. For further details about my academic background and contributions, please refer to the About page.